Spring Session 2016

Robin Jeshion (University of Southern California)

June 9 THU — 14.00-16.00

Sala "Enzo Paci" — Direzione del Dipartimento (Via Festa del Perdono 7, Milano)

TBA

 

Anna Ichino (University of Nottingham)

June 6 MON — 10.30-12.30

Sala "Enzo Paci" — Direzione del Dipartimento (Via Festa del Perdono 7, Milano)

The Powers of Imagination 

AbstractBelieving that you have won the lottery is clearly different from merely imagining that you have won the lottery. But what precisely does the difference amount to? This is less clear. According to the standard view in the contemporary debate, imaginings and beliefs differ in two key functional respects: (1) with respect to the cognitive inputs in response to which they are formed (imaginings are not formed in response to real-world evidence as beliefs are), and (2) with respect to the behavioural outputs that they are able to produce (imaginings do not motivate us to act as beliefs do). I will argue that the standard view is mistaken: imaginings motivate us to act (and react) precisely as beliefs do; hence the only relevant difference between them is at the input level. I will show that this view does not have the absurd consequences that it is generally taken to have; and that, on the contrary, it has important implications for our understanding of how the mind works.

Giorgio Sbardolini (University of Ohio)

May 30 MON — 10.30-12.30

Sala "Enzo Paci" — Direzione del Dipartimento (Via Festa del Perdono 7, Milano)

Two-Dimensional Russell Paradox 

Abstract: I will present (what appears to be) a version of Russell's paradox in two-dimensional modal logic. That is, there is a reductio argument that is structurally identical to Russell's paradox, following from apparently natural assumptions that can be formulated in a two-dimensional modal logic of the type underlying Kaplan's logic of indexicals, or Stalnaker's metasemantic account of assertion. As usual, the question is: what is this a reductio of? In order to approach this question, I will discuss Prior's paradox: an apparently closely related contradiction that belongs to an underinvestigated class of puzzles, known as "paradoxes of intensionality."

Sebastiano Moruzzi (University of Bologna)

May 23 MON — 10.30-12.30

Sala "Enzo Paci" — Direzione del Dipartimento (Via Festa del Perdono 7, Milano)

Deflationary Pluralism 

Abstract: (joint work with Filippo Ferrari) We explore the possibility of an alethic pluralistic view that includes, among the plurality of ways of being true, a deflationary truth property for the domain of basic taste. Crispin Wright has advanced two arguments purported to show that truth is a distinctively normative notion—i.e. a notion whose normative guidance contrasts with that of epistemic justification. The intended conclusion is that in virtue of its normative nature, truth cannot be as a metaphysically innocent property as deflationists take it to be. To make the case for the possibility of a deflationary property alongside other, more substantive, truth properties, we need to show that Wright’s anti-deflationary arguments can be locally blocked. This means that, although we concede to Wright that as a general conception of truth deflationism is unviable—for the reasons highlighted by the two arguments—a local deflationary truth property can be rehabilitated. We show how this can be done by focusing on the domain of basic taste. There, we argue, truth is purely deflationary and normatively indistinguishable from justification (but yet not identical to it).

Luigi Fraschini

June 13 MON — 10.30-12.30

Sala "Enzo Paci" — Direzione del Dipartimento (Via Festa del Perdono 7, Milano)

Linguaggio e mondo alle origini della civiltà: l’esperienza degli antichi Egiziani.

Abstract

In questo incontro mi propongo di presentare sinteticamente la concezione e la funzione del linguaggio in una tradizione culturale molto antica, anteriore alla civiltà greca: mi riferisco alla cultura dell’antico Egitto, che ha avuto origine più di due millenni prima della nascita della Grecia classica e che da sempre affascina l’uomo occidentale.

Per quanto riguarda il linguaggio, secondo il “filosofo” egiziano, la parola pronunciata o scritta non ha semplicemente una funzione discorsiva o comunicativa. Questo è il solo aspetto che la filosofia greca considera. La scienza aristotelica, per esempio, si identifica con il linguaggio discorsivo/comunicativo che la veicola. In questo contesto, il principio di non contraddizione costituisce un cardine di questa scienza.

Secondo gli Egiziani, la parola, oltre a essere uno strumento di comunicazione, è in grado di contribuire alla coesione e all’ordine dell’universo e dell’individuo. Sia l’uomo sia il mondo sono concepiti, nella speculazione egiziana, come una rete di relazioni che si riconfigura in base alle singole situazioni concrete (vedi, per es., la divinità e i suoi attributi; le parti del corpo e le divinità corrispondenti; il ciclo vita/morte/vita post mortem dell’essere umano). Il pensiero e il linguaggio, nel loro procedere, seguono il medesimo modello.

Tra la lingua egiziana classica, la scrittura egiziana e un ordine cosmico che si manifesta attraverso una serie di rapporti di proporzionalità, secondo gli Egiziani, esiste una relazione stretta. Grazie a questo legame strutturale, è possibile, per mezzo del linguaggio, evocare e ricreare la rete di relazioni e di rimandi che forma il tessuto della realtà e dell’individuo. La parola è dunque creatrice o “performativa”, secondo la definizione dei linguisti, e la conoscenza che il linguaggio veicola non è il risultato di un atto semplicemente contemplativo. Conoscere significa sempre interagire con l’ordine del mondo.

In virtù di questa visione del mondo e del linguaggio, i concetti egiziani non possono essere quindi racchiusi in definizioni univoche. Essi, pur possedendo una propria identità, sono “dinamici”, “aperti”, sono come delle parole che si declinano, assumendo, di volta in volta, il genere, il numero e il caso richiesti.

Relativamente alla speculazione dell’antico Egitto, si potrebbe parlare, quindi, di “pensiero analogico”, nella misura in cui “pensare per analoghia”, o “per proporzionalità” (traducendo letteralmente il termine greco), significa mettere in relazione degli enti che sono differenti tra loro, ma commensurabili. Un pensiero “analogico” coglie ogni ente attraverso l’insieme dei rimandi che lo lega a una serie di altri enti del cosmo. La commensurabilità di cui parlo, e che può essere espressa attraverso delle proporzioni, è la condizione necessaria affinché il mondo sia intelligibile. Il fondamento e il punto di riferimento principale di tutti i rapporti di proporzionalità è rappresentato dalla legge di Maat, il termine egiziano che designa l’ordine cosmico.

A questo proposito, un fenomeno linguistico esplicativo è, per esempio, quello che riguarda i giochi di parole (paronomasia). Il gioco di parole crea una dialettica tra suono e significato. Non si tratta di una figura estetica, ma di un procedimento epistemologico, ossia referenziale. Questo procedimento istituisce delle associazioni tra gli enti del cosmo. E’ un modo di classificare gli elementi che lo popolano.

Interesse e utilità di questa tematica

La civiltà egiziana si è sviluppata al di fuori del pensiero europeo e delle lingue indoeuropee. Essa rappresenta – si potrebbe dire – un “altrove”, lontano dai nostri punti di riferimento. Il confronto con un orizzonte culturale differente rispetto a quello da cui proveniamo, a mio avviso, offre la possibilità di interrogare la nostra cultura e le nostre categorie dal di fuori, da una prospettiva esterna, permettendoci di esplicitarne meglio alcuni aspetti che tendono a rimanere impliciti.

 

Langage et monde aux origines de la civilisation:

l’expérience des Égyptiens anciens

 Dans cette rencontre, je me propose de présenter synthétiquement la conception et la fonction du langage dans une tradition culturelle très ancienne, antérieure à la civilisation grecque: je me réfère à la culture de l’Égypte ancienne, qui a eu son origine plus de deux millénaires avant la naissance de la Grèce classique, et qui fascine depuis toujours l’homme occidental.

En ce qui concerne le langage, selon le «philosophe» égyptien, la parole prononcée ou écrite n’a pas tout simplement une fonction discursive ou communicative. Cela est le seul aspect du langage que la philosophie grecque retient. La science aristotélicienne, par exemple, s’identifie avec le langage discursif/communicatif qui la véhicule. Dans ce contexte, le principe de contradiction constitue un pilier de cette science.

D’après les Égyptiens, la parole, en plus d’être un outil de communication, est capable de contribuer à la cohésion et à l’ordre de l’univers et de l’individu. Tant l’homme que le monde sont conçus, dans la spéculation égyptienne, comme un réseau de relations qui se réorganise selon la situation concrète (voir, par ex., la divinité et ses attributs; les parties du corps et les divinités correspondantes; le cycle vie/mort/vie post mortem de l’être humain). La pensée et le langage suivent le même modèle.

Entre la langue égyptienne classique, l’écriture hiéroglyphique et un ordre cosmique qui se manifeste par une série de rapports de proportionnalité, il existe, selon les Égyptiens, une relation étroite. Grâce à ce lien structurel, il est possible, par le moyen du langage, d’évoquer et de recréer le réseau de relations et de renvois qui forme le tissu de la réalité et de l’individu. La parole est donc créatrice ou «performative», selon la définition des linguistes, et la connaissance que le langage véhicule n’est pas le résultat d’un acte tout simplement contemplatif. Connaître signifie toujours interagir avec l’ordre du monde.

En vertu de cette vision du monde et du langage, les concepts égyptiens ne peuvent pas donc être renfermés dans des définitions univoques. Tout en ayant leur identité, les concepts sont «dynamiques», «ouverts», comme des mots qui se déclinent, en prenant le genre, le nombre et le cas requis.

Relativement à la spéculation de l’Égypte ancienne, on pourrait parler donc de «pensée analogique», dans la mesure où «penser par analoghia», ou «par proportionnalité» (en traduisant textuellement le mot grec), signifie établir un rapport entre des êtres qui sont différents entre eux, mais commensurables. Une pensée analogique saisit chaque être au moyen de l’ensemble des renvois qui le relie à une série d’autres êtres du cosmos. La commensurabilité dont je parle et qui peut être exprimée par des proportions, est la condition nécessaire afin que le monde soit intelligible. Le fondement et le point de repère principal de tous les rapports de proportionnalité est représenté par la loi de maât, le mot égyptien qui désigne l’ordre cosmique.

À ce sujet, un phénomène linguistique explicatif est, par exemple, celui qui concerne les jeux de mots (paronomasie). Le jeu de mots crée une dialectique entre son et signification. Il ne s’agit pas d’une figure esthétique, mais d’un procédé épistémologique, à savoir référentiel. Ce procédé établit des associations entre les êtres du cosmos. Il est une manière de classer les éléments qui le peuplent.

Intérêt et utilité de ces thèmes

La civilisation égyptienne s’est développée hors de la pensée européenne et hors des langues indo-européennes. Elle représente – on pourrait dire – un «ailleurs», lointain de nos points de repère. La comparaison avec un horizon culturel différent par rapport à celui d’où nous provenons, à mon avis, donne la possibilité d’interroger notre culture et nos catégories par l’extérieur, d’une perspective extérieure, en nous permettant de mieux expliciter certains aspects qui tendent à rester implicites.